Vicentini magnagati

Liberamente tratto da "I Magnagati" di Primo Piovesan, da Danilo Dal Maso, Donnisio da Montecio, Aldo Alvin Zordan

Regia di Alvin

 


 

LA TRAMA
"Vicentini Magnagati", saporosi quadri popolari con lo sfondo della Vicenza nei primi anni del XX secolo, rappresenta negli accenti di umanità e di poesia, nel facile tratteggio di tipi e macchiette, nella vivezza e naturalezza della trama, uno spaccato di vita vicentina. Si tratta di una libera riduzione e adattamento dall'originale "I Magnagati" di Primo Piovesan, rappresentati per la prima volta al Teatro Eretenio di Vicenza con la collaborazione dello scenografo Mirco Vucetich. Un momento di vita, di cose accadute, che ancor di più si evidenziano nella facile maniera in cui la storia di paron Momi, gestore dell'osteria "alla Malvasia" e della moglie Cecilia, creduta amante, ed invece madre del giovane Bepi, uno dei facchini della "Fraja della Rua", offre il destro all'autore per inserire dentro ai due atti, con un dialogo limpido dal linguaggio casalingo, il brio di certe macchiette popolaresche come pure l'inevitabile inclinazione ai buoni sentimenti. Non mancano baruffe e pettegolezzi, sbruffonerie e paure oltre ad un pizzico di autentico coraggio civile. Tutto va a finire per il meglio, naturalmente: mamma e figlio si riconoscono e s'abbracciano, l'oste non ha più da temere d'essere cornuto, quella malalingua della fruttivendola viene smascherata, il tutto modellato per far vivere, con momenti di grande spassosità e intensa poesia, quella che per Ferdinando Palmieri era la "immacolata concezione della vita" di Piovesan.

NOTE DI REGIA
Alcuni componenti dell'Astichello avevano praticato in gioventù la Compagnia Zuccato di Polegge, con il coinvolgimento nell'allestimento di una celebrata edizione de "I Magnagati" di Primo Piovesan. Fra questi c'era anche il regista Aldo Zordan, che dopo l'esperienza dell'Amante de legno, non trovò di meglio che proporre di misurarsi con una prova tutta vicentina come "I magnagati". Come da tradizione, i due artigiani del copione Danilo Dal Maso e Donnisio da Montecio spostarono la vicenda dalla metà dell'800 al ventennio (gli austriaci divennero le camicie nere), recuperarono alcuni personaggi che facevano colore berico e, con alcuni ritocchi di Alvin che aveva già praticato il tema, fu messa in piedi una commedia che gli addetti ai lavori accolsero con fiducioso impegno. Il regista ebbe l'intuito di cercare canzoni della tradizione
vicentina per intercalare e sottolineare i passaggi della storia e, dopo vari tentativi, trovò la soluzione in alcune musiche raccolte dalla Banda Brian, che in pratica divennero la colonna sonora del lavoro. Si decise pure di modificare il titolo, che richiamava sin troppo da vicino l'omonimo gruppo cabarettistico berico. Si stava pensando a Visentini Magnagati, ma fu un suggerimento telefonico di Bepi De Marzi a consigliare il più consono "Vicentini Magnagati". Le scene per le prove furono allestite in un capannone nella periferia nord di Vicenza, dove qualcuno ricorda ancora il regista con la bacchetta in mano. Come per i lavori precedenti, "Vicentini magnagati" vide l'esordio a Cavazzale, con l'immancabile stornello finale di Danilo Dal Maso, richiesto in bis dal pubblico, come sarebbe quasi sempre poi avvenuto nelle successive repliche, anche non vicentine.

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